martedì 25 giugno 2013

Test: X-BIONIC ACCUMULATOR RUN e INOV-8 TRAILROC 255

Test in gara:
Ecomaratona delle Aquile (PR) 46 km e 2500 D+.
23/06/2013

Dopo aver testato questi due prodotti in allenamenti lunghi e su percorsi difficili, decido di portarli con me all'Ecomaratona di Corniglio, per valutarne il comportamento in gara.
L'ottimo riscontro in allenamento mi ha fatto sperare anche per una buona risposta in gara, dove si sa, le condizioni sono sempre più difficili, e la vera qualità dei materiali emerge nei momenti di stanchezza, quando i km si accumulano.
Dico subito che il risultato non ha tradito le attese, e mi sento di promuovere questi due prodotti.
Di seguito una veloce recensione:

X-BIONIC ACCUMULATOR RUN
Sinceramente non mi aspettavo un beneficio così elevato da una "calza", ma effettivamente la Accumulator Run non è riducibile ad una semplice calza.
Indossi la Accumulator e ti accorgi della qualità di questo prodotto, realizzato con cura, resistente e confortevole. Dal punto di vista dinamico, ho riscontrato questi benefici: le strisce compressive riducono l'affaticamento muscolare, la caviglia rimane più stabile, le gambe e i piedi si gonfiano di meno, e nonostante sia una calza lunga, la gamba rimane sempre fresca e areata.
Scomparso ogni dolore ai polpacci, sia durante la corsa che il giorno dopo!
Eccezionale. Voto 10.

INOV-8 TRAILROC 255
Scarpa bassa, come piace a me. Leggera e ed estremamente dinamica.
Il grip è garantito da una suola in grado di copiare ogni asperità del terreno, perciò sia in salita che in discesa la scarpa non scivola mai e rimane stabile sull'appoggio scelto.
Il basso differenziale (6mm) permette massima precisione e riduzione notevole delle distorsioni alla caviglia. Richiede forse un po' di allenamento per il piede che con questa scarpa ha un ruolo dinamico importante, perciò meglio arrivare alle lunghe distanze con gradualità.
E' una scarpa sempre reattiva e precisa su ogni terreno.
Unico difetto riscontrato: se si bagna, la tomaia si riempie d'acqua che fatica ad andarsene. Credo sia dovuto al tipo di materiale. Peccato perché si sarebbe meritata un bel 10, ma questo non è un difetto da poco nel trail, dove non si può sperare di correre sempre sull'asciutto.
Voto 8.

giovedì 16 maggio 2013

Regola n° 2: PROGRAMMAZIONE



Abbiamo individuato il nostro obiettivo, che sia una gara di 10 km, una Maratona, un Trail, o semplicemente ritrovare la forma fisica perduta (magari liberarci di qualche chilo di troppo).
Valutiamo quanto tempo ci separa dalla nostra meta, e prima di dare lo start agli allenamenti sediamoci a ragionare un attimo.
E' il momento della Programmazione, cioè della creazione del nostro piano di allenamento da oggi fino al giorno della gara.
Perché dobbiamo farlo?
Perché allenarsi non significa tirarsi il collo sperando che le nostre performance migliorino secondo qualche magico schema, ma l'allenamento è uno strumento che deve permettere al nostro corpo di adattarsi gradualmente a degli stimoli esterni, in questo caso le sedute d'allenamento.
Programmazione significa, per esempio, definire i carichi di allenamento secondo parametri di qualità e quantità, definire la suddivisione in microcicli (classico quello settimanale), e le fasi di scarico.

Il PROGRAMMA deve individuare i seguenti aspetti dell'allenamento:

1) Macrociclo e microcicli

2) Diversificazione stimoli allenanti (resistenza alle lunghe distanze, potenza aerobica, resistenza muscolare specifica, mobilità e stretching, propriocezione, tecnica di corsa, ecc.)

3) Fasi di scarico (il corpo acquisisce i benefici dell'allenamento solo nelle fasi di recupero, per raggiungere poi livelli di efficienza superiore a quello di partenza = principio di Super-compensazione)

4) Alimentazione e integrazione ( aspetto fondamentale che deve variare a seconda dell'allenamento effettuato, uno per migliorare i recuperi, due per creare le condizioni energetiche ideali per l'allenamento stesso)

Se avete già piena padronanza di questi concetti, allora non vi resta che uscire per la vostra seduta di allenamento.
Se invece qualcuno di questi punti non è chiaro o addirittura sconosciuto, allora vi state allenando a caso!
Se la patente dell'auto l'avete presa con un Istruttore di Guida, allo stesso modo per guidare il vostro corpo verso i risultati desiderati rivolgetevi ad un TECNICO COMPETENTE. A volte pochi concetti, se messi in pratica, possono cambiare definitivamente in meglio il vostro modo di allenarvi e di correre.

MIGLIORARSI, DIVERTIRSI, E CORRERE FINO A CENT'ANNI!
Io ci sto.

Buone corse a tutti!


lunedì 13 maggio 2013

LE REGOLE DEL RUNNER





 


Per principianti, amatori e agonisti


Sempre più persone si avvicinano al mondo della corsa, e molte di queste si appassionano e continuano a praticarla costantemente. La maggior parte di questi neofiti, sono autodidatti e continuano ad esserlo a lungo, con il rischio di commettere grossi errori, che spesso possono compromettere il piacere di correre, e nel peggiori dei casi costringono all’abbandono.


 

Regola n° 1: LA TECNICA DI CORSA

Se pensate che per correre basti mettere un paio di scarpette ai piedi e andare fuori, vi sbagliate di grosso!
Molti pensano che correre sia la naturale evoluzione del camminare, ma non è così.
La camminata e la corsa sono due cose totalmente diverse.
La corsa è una tecnica, e come tale andrebbe imparata ed acquisita.
I vantaggi sono per tutti :
dal principiante, che potrà godere appieno e da subito dei benefici della corsa, all’agonista che potrà migliorare le sue performance e i suoi record personali.
Acquisire una corretta tecnica di corsa permette di essere più EFFICACI, col risultato di correre più veloce e col minor dispendio di energia. Pertanto in uno sport di endurance come la corsa, tutto ciò è fondamentale.
Non dimentichiamo un aspetto importantissimo, cioè che correre nella maniera giusta è il modo migliore per PREVENIRE INFORTUNI a carico delle strutture tendinee, articolari e muscolari.
Pensiamo sempre allo stretching come prevenzione, che solo in parte ci può aiutare.
Ma è inutile fare mobilità ed allungamento se la tecnica di corsa è errata, e i nostri mali nascono proprio da questo!
Perciò un consiglio per tutti: curate prima di tutto la tecnica, che voi siate principianti, amatori od agonisti.
Rivolgetevi ad una persona esperta e competente (un preparatore qualificato), e non al passa parola del conoscente dell’amico che corre forte.
I benefici saranno incredibili:

1)     PIU’ VELOCI

2)     PIU’ RESISTENTI

3)     MIGLIORE RECUPERO

4)     MENO INFORTUNI

 

Per chi ama la corsa, tutto ciò si traduce in: PIU’ DIVERTIMENTO!

Buone corse!

 
Alessandro Rovelli

 

 

 


 

 

 

giovedì 11 aprile 2013

Lavatrail Lanzarote



95km 3500 D+

 6 aprile 2013     

 

Già da casa mi ero entusiasmato all’idea di correre su un’isola come Lanzarote.
Le immagini da satellite mi davano l’idea che fosse un paesaggio lunare, con crateri enormi di vulcani, e chilometri di piste desolate da attraversare.
Il bello è stato scoprire che non mi sbagliavo affatto.


 Arrivati con qualche giorno di anticipo sulla gara, ho modo di visitare l’isola, e di scoprire un territorio davvero eccezionale.
Distese di rocce vulcaniche, montagne dai colori più vari, rosso, nero, giallo, spiagge di sabbia bianca o nera, scogliere maestose sul mare, grotte di vulcani, crateri enormi, e orizzonti infiniti illuminati da una luce chiarissima.
L’emozione sale, e la voglia di correre pure.

Il giorno della gara la sveglia è alle 2:50 di notte.
Praticamente avrò dormito si e no un paio d’ore.
Raggiungo il luogo di raccolta, saliamo su un pullman e alle 4:15 circa siamo sulla spiaggia della partenza.
Gli italiani sono 6, compreso me, immersi in un vociare di lingua spagnola.
È buio, c’è vento, e i brividi per l’aria fredda si mischiano a quelli per l’emozione.

Alle 5:00 lo start.
Qualche applauso, e molta concentrazione: la Lavatrail Lanzarote è partita!
Le luci delle frontali, e l’abbigliamento riflettente vanno a colorare la spiaggia buia.
La sabbia compatta lascia spazio ad un lungo canalone disseminato di rocce.
Sin da subito la corsa non è semplice, e l’andatura non è alta.
Si affrontano le prime asperità, dove ghiaia smossa e roccia richiedono molta attenzione.
Sto bene e controllo la mia gara. C’è allegria ai ristori, e mi diverto a scherzare con le ragazze che urlano “Animo chico!” che a me sembra un po’ una presa in giro, ma va bene lo stesso.


Dopo due ore di corsa, comincia finalmente a vedersi la luce. Bene!
Rimango con uno spagnolo, che ha un tatuaggio del diavoletto del Timanfaya sul polpaccio.
Arriviamo alla spiaggia di Famara, dove il forte vento ci spinge da dietro e fa salire l’andatura a 4:30!
Forse troppo! Entriamo in una pista di sabbia compatta, dove per diversi chilometri l’andatura rimane alta.
Finalmente si sale, ma lo spagnolo rimane indietro.
La corsa è lunga e non voglio rimanere da solo. Lo aspetto ma è più lento. Niente.
Si entra all’interno dell’isola, su saliscendi un po’ sabbiosi. Ora il sole comincia a scaldare, e il vento non c’è più. Per fortuna i ristori sono frequenti, e mi permettono di avere sempre liquidi a disposizione.
L’andatura scende molto, e la fatica sale.

Al 50° raggiungo un altro spagnolo e ci perdiamo. Comincia la serie!
Ritrovato il percorso, ora si corre su lastroni neri di lava solidificata.
Fino all’80° rimango da solo. Attraverso in solitaria il centro dell’isola, girando attorno alle creste dei vulcani e seguendo delle piste di ghiaia nera. Non ci sono alberi, e il silenzio è totale.
Mi sembra di essere nella preistoria.
Mi fanno male le gambe, e soprattutto il ginocchio destro. Ogni tanto rallento e cammino, anche perchè perdo spesso la traccia. Il paesaggio è ipnotico.



Ad un certo punto non ne posso più, voglio la salita.
E negli ultimi infiniti 15 km avrò tutta la salita che desideravo…anche troppa!
Gli ultimi passaggi in cresta saranno durissimi per tutti, e il mio pensiero va a quelli che ci sarebbero passati di notte. La parte più tecnica infatti è alla fine, che sommata alla stanchezza delle gambe, significa dolori e rischio di farsi male. Affronto una discesa dove il sentiero non esiste, ci sono solo rocce a strapiombo, e continuo a guardarmi attorno per capire se non ho sbagliato. Purtroppo no, si passa da lì.

 In certi casi mi devo sedere sulla roccia, cercando di raggiungere con la punta del piede il punto più in basso. Il luogo non è sorvegliato, perciò cerco di non cadere in qualche crepaccio!
È pazzesco, gli organizzatori sono dei folli! E lì ne ho la certezza.
Per non parlare delle balise, che a questo punto della gara quasi scompaiono.
Mi oriento a vista, vedendo Playa Blanca in lontananza.
Finalmente raggiungo la pianura e comincio a correre felice verso la meta.
Anche gli ultimi 3 km saranno un po’ labirintici, ma oramai l’obiettivo è in vista, e il male alle gambe passa in secondo piano.



Gli ultimi metri li corro come un matto.
Arrivo con le braccia alzate!
Sento lo speaker urlare il mio nome, e l’emozione è fortissima.
11 ore e 15 minuti di viaggio da nord a sud di Lanzarote, mi merito una coca fresca e mi siedo all’ombra.
Gli stessi spagnoli che in corsa parlavano poco, quando arrivano ti abbracciano, ti chiedono com’è andata e ti fanno i complimenti. Sono tutti matti, ma io continuo a divertirmi in mezzo a questa gente.

Comincia la festa!

 

 

 

 

 

mercoledì 20 marzo 2013

Ultrabericus

16 marzo 2013.

Ultrabericus: 68 km 2500 D+



Ogni corsa è una storia a sé.

Per ogni ultratrail porti con te un mare di emozioni, ricordi, e immagini, che rimangono per sempre stampati nella memoria.
Dell’Ultrabericus ricorderò  il dolore e la fatica, ma anche i piccoli gesti, l’amicizia, e l’umanità di chi ti da una mano, anche se non ti ha mai visto prima.
Poi l’emozione grandissima dell’arrivo in piazza, con gli occhi lucidi e i muscoli allo stremo.
Della corsa, ricordo le infinite strade sterrate, le immense grotte, e gli ulivi.
La visione di Vicenza dall’alto, quando mancano solo 5 km, ma che sembrano non finire mai.
L’acqua fresca di una fontana, sul lato di una casa di campagna.
Una mulattiera in discesa corsa a rotta di collo per non perdere contatto con il gruppetto.
I crampi alla coscia destra e io che cado a terra, con la gamba tesa e rigida.
Io che mi piego dal male allo stomaco, e un corridore che passando silenzioso appoggia la sua mano sulla mia testa. Gesti d’amicizia.
La doccia, le penne al ragù più buone del mondo, e le gambe dure di marmo.
Esperienze vissute al massimo, perché i sensi si dilatano, e si espandono. Oltre la fatica c’è una dimensione in cui siamo tutti uguali, non esistono differenze di sesso, età, provenienza, ecc
Gente che non si conosce, ma che alla fine si abbraccia, per il solo fatto di aver condiviso qualche km insieme.

 

giovedì 26 luglio 2012

Cortina Trail.



Cortina trail: 46,2 km, e 2500 m di dislivello positivo.

30 giugno 2012.



Arrivati a Cortina ci accolgono le montagne, quelle vere.
Io che di montagne ne ho viste davvero poche, essere lì ai piedi delle Dolomiti è un’emozione gigantesca.

Il giorno del nostro arrivo, il venerdì, io e Federica ci dedichiamo al ritiro pacco gara, al relax con tanto di birra e passeggiata nel paese. A Cortina però c’è grande fermento perché quella sera stessa, alle ore 22:00 partirà la Lavaredo Ultra Trail (LUT), cioè la gara più dura, la 120 km!
La partenza della mia corsa invece, la Cortina Trail, è prevista per la mattina del sabato.
Dopo cena ci lanciamo al centro del paese per assistere alla partenza della LUT.
Sotto il gonfiabile dello start si stanno allineando i concorrenti, diverse centinaia di atleti, di ogni nazionalità, età e sesso. L’equipaggiamento di cui dispongono per superare i 120 km della corsa è davvero vario, ma ognuno sa che non gli è concesso dimenticare nulla, poiché tutto può diventare indispensabile. I primi ci impiegheranno 12 /13 ore circa, un tempo sovraumano, e poi a seguire tutti gli altri fino a tempi che sfiorano le 32 ore di percorrenza.

La LUT non è solo una corsa, ma un viaggio, un’avventura.
Guardando la luce che brilla negli occhi di queste persone, si può percepire la gioia, la tensione profonda verso il viaggio in cui si stanno proiettando.
Le tantissime lucine delle lampade frontali si radunano, e mi rammentano che gli atleti della LUT correranno le prime 6/7 ore nel buio della montagna, accogliendo l’alba durante la corsa.

La musica di Ennio Morricone carica l’atmosfera di un’emozione fortissima, e allo start si leva un urlo di liberazione. I trailer partono tra gli applausi e le grida delle persone radunate li attorno.
Sentiamo lo scalpiccio scomparire il lontananza, mentre mi immagino questo gruppo di corridori risalire la montagna, nel silenzio dei sentieri.


L’indomani mi sveglio all’alba, teso come una corda dall’emozione!
Mi preparo, cerco di ingurgitare la colazione, e scendo in paese accompagnato dalla mia fedele assistente.
Incontro subito Danilo e i suoi amici, ma è ancora presto, perciò scattiamo qualche foto e ci scambiamo impressioni e suggerimenti.
Vorrei rilassarmi, ma sulla linea di partenza la tensione è al massimo. La lunga attesa per questo trail si sta per spezzare ora, allo start.
Pacche sulle spalle, incoraggiamenti e in bocca al lupo.
La solita ma bellissima colonna sonora di Morricone.
Pronti….via! si parte!


Finalmente ci siamo, si spezza l’incantesimo ed è ora di correre.
I primi passi su asfalto sono gesti scomposti che non riconosco. Ma so che andrà meglio scaldandomi.
Tutto balla, dallo zaino agli occhiali, a Danilo che come sempre saltella a destra e  sinistra per fare foto e
dar battute. All’ecomaratona lo dovetti mollare dai primi chilometri, ma questa volta non voglio perderlo di vista! Finalmente si sale su un bel sentiero scorrevole, e senza forzare già sento le sensazioni che cercavo.
Le gambe frullano leggere e non c’è affanno. Danilo saluta tutti. Mi sembra di essere insieme ad un vip, tutti lo conoscono e lo chiamano a gran voce: “Mitico!”
Io continuo regolare e allo scollinamento mi accorgo che Danilo è dietro, e non lo vedo.
Decido di continuare regolare e di godermi il panorama, mentre la strada spiana.
Scambio due parole con chi mi affianca, ma rimango concentrato su quello che sto facendo.
Si comincia a scendere nel sottobosco, e mangio il primo gel. Si risale su un impegnativo costone di ghiaia, ma il panorama sulla vallata sottostante è di una bellezza unica.
Continuo regolare e ogni tanto chi mi precede mi lascia passare. Sono tutti gentili. Mi volto e capisco che Danilo è rimasto indietro, perciò faccio la mia corsa e basta.  Preferisco superare chi davanti a me usa i bastoncini, perché in salita me li vedo passare davanti la faccia e temo che qualcuno possa infilarmeli in un occhio. Bevo in continuazione e ogni 45 min un gel. Non ho nessun problema di fiato, anzi respiro che è una meraviglia. L’afa di Rimini è un ricordo lontano, insieme ai pensieri del lavoro.


Quassù corro e mi sento in pace con tutto e tutti, e soprattutto con me stesso.
Al ristoro di metà percorso (circa 23 km) ho le sensazioni giuste. Mi fermo poco, bevo e mangio qualcosa, e via. Si susseguono salite ripide e lunghe, e discese altrettanto difficili, ma le Dolomiti offrono una varietà di immagini e colori da riempirmi di forza e di serenità.
La fatica però non manca, ma all’ultimo ristoro, sentendomi ancora molto bene, decido di aumentare un po’ il ritmo. Dopo una salita di roccia davvero paurosa, scolliniamo su un pratone verde.
Rimango in estasi. Mai vista una meraviglia del genere.

Un sentiero stretto si stende lungo questo altopiano erboso, da cui spuntato qua e là delle rocce bianche.
Le gambe volano. Un piccolo ruscello costeggia il sentiero, e mi accompagna col suo leggero scorrere d’acqua. Ogni tanto salto una roccia, e sorpasso un concorrente a velocità doppia. Non posso rallentare, è troppo bello. Non sento più la fatica. Passo due signori vestiti allo stesso modo, che se ne risentono e cercano di seguirmi.
Inutile, cedono presto. Il GPS segna un passo di 4:30, e dopo 35 km di montagna non è male.
Si sale di nuovo poi si scende ancora a tutta verso un lago, da cui arriva una musica rock a tutto volume.
C’è un gruppo che suona e mi sembra pazzesco che dei musicisti siano arrivati fin lì a suonare… Come ad ogni punto di ristoro o dove s’incontra gente, gli incoraggiamenti non mancano, e mi sento ancor più forte.
Rimangono 6 km, ma saranno i più duri.
Si scende nel bosco, su un sentiero di una bellezza disarmante. Sono da solo, ed è la prima volta dall’inizio della corsa, per cui tengo d’occhio i segnali perché non sarebbe simpatico sbagliare sentiero e perdersi.
La traccia diventa un inferno di scalini di roccia e di radici insidiose che mi costringono a rallentare.
La discesa in queste condizioni diventa durissima e devo fare uno sforzo di concentrazione pazzesco.
Un occhio alla ricerca della striscia che indica il percorso e uno al punto migliore su cui appoggiare il passo successivo. Poi arriva! Sasso smosso, e distorsione. Lancio un urlo e mi getto a terra.
La caviglia non ha tenuto e si è girata su se stessa, ma non sento male. La tocco e la muovo ma non mi comunica niente. Cerco di capire se c’è qualcosa, dato che la mia soglia del dolore potrebbe essere un po’ imprecisa per via della stanchezza. Ma nulla. Felice mi rimetto in piedi e riparto con ancora più attenzione.

Finalmente si esce dal bosco, e si prende una strada bianca. Fa un caldo pazzesco e mi sento bollire la testa. In un passaggio tra alcune case una signora mi getta addosso dell'acqua, e io la ringrazio immensamente.
Ma ormai è fatta, sono sotto il paese.
Una scalinata e vedo il corso centrale, quello dell’arrivo.
Salgo e giro l’angolo. Esplode una gioia enorme che mi fa volare verso gli ultimi metri!
A braccia alzate chiudo una corsa meravigliosa, e subito vado a baciare chi mi aspettava all’arrivo.


Un’esperienza di 6 ore e mezza di corsa in montagna, che mi sembra volata in un baleno, ma che con la mente ancora oggi posso ripercorrere metro dopo metro. Soddisfazione e felicità immense. Sentirsi vivi in questo modo è qualcosa di meraviglioso.


martedì 19 giugno 2012

ECOMARATONA DELLE AQUILE 2012.

Trail, fatica, avventura, amicizie nuove, e gente davvero fuori di testa.
Allora ci siamo!

Ti svegli alle 4 di mattina e sai che ti aspetta una giornata tosta, un’avventura vera. Poi quando sei lì a scarpinare su quei monti, capisci che un conto è immaginarlo e un conto è farlo. Ma portare a termine certe esperienze è un’emozione che ti porti nel cuore, insieme al desiderio immediato di ripetere al più presto un’altra impresa.

Insomma, si parte presto alla volta di Corniglio, un paese non ben identificato, immerso nell’Appennino tosco-emiliano. Ci aspettano 43 km, con più di 2000 metri di dislivello positivo.
La prospettiva è che si farà fatica, e il caldo previsto aggraverà la cosa.
In macchina, con l’ottima compagnia di Alessandro, Stefano, e il Mitico, si arriva presto a destinazione.
Tra tutti mi par di capire che il novellino sia io, ma la cosa non mi spaventa e mi presento sereno alla partenza. Forse un po’ troppo sereno. Sotto il gonfiabile dello start, c’è gente di tutti i generi, soggetti imbacuccati con il massimo dell’abbigliamento tecnico, mentre altri più classici con calzoncino e canotta. Penso che probabilmente i più attrezzati siano quelli del percorso lungo, ma poi scoprirò che non è così per tutti. In questo genere di corse, ognuno da la sua interpretazione, anche a seconda di quello che gli serve per arrivare al traguardo. E non tutti hanno le stesse necessità.
Io parto con tutto quello che mi potrebbe servire, anzi abbondo, tanto per non rimanere senza nulla. Infatti il mio zaino pesa abbastanza, ma penso che sia normale, e che comunque devo abituarmici.
Me la rido sotto i baffi vedendo che c’è anche chi ha i bastoncini!....come avrei voluto averli anche io in molti tratti di gara!
3,2,1, alle 9:00 il via. Comincia la festa!
Percorriamo i primi metri di asfalto con il sorriso sulle labbra, tra una battuta e l’altra, con il Mitico Danilo che trotterella davanti. Mi sembra davvero carico, e alla fine scoprirò che lo è davvero!
Le chiacchere lasciano il posto al fiatone non appena comincia il sentiero nel sottobosco.
Un single-track tra gli arbusti, con una pendenza spezza gambe, e che sembra non mollare mai.
I primi 5 km così non me li scorderò mai!
Non respiro bene, procedo chino al passo di un lumaca, mentre vedo più in alto Danilo che sgambetta come un capriolo. Ha pure la forza di girarsi, tirare fuori la macchina fotografica, scattare una foto sul gruppo, e con un sorriso soddisfatto ripartire in salita.
Oltre alla fatica e al caldo soffocante, avvengono un po’di cose: mi si apre il camel-bag e si bagna tutto, comprese alcune scorte e il mio sedere fino in mezzo alle gambe. Perdo di vista Stefano e Danilo. Scivolo sul fogliame del sottobosco rischiando una rovinosa caduta.
Ho un calo generale, non mi sento bene. Sto perdendo lucidità.
Mi assale un po’ d’ansia. Uno perché non sono neppure a 10 km dalla partenza e ne dovrei fare un totale di 43! Due perché se questa è l’Ecomaratona, mi terrorizza il pensiero della Cortina Trail del 30 giugno!
So di essere allenato, ma non capisco perché sta andando tutto storto, proprio nei primi chilometri dove mi immaginavo di correre spensierato e di controllare tutto.
Mai farsi aspettative. Ora sono nei guai e devo fare qualcosa.
Dopo una discesa di sassi smossi che mi dà il colpo di grazia, finalmente arrivo al primo ristoro al km 10.
Cerco di rifocillarmi ma non riesco a deglutire, e diciamo che i biscotti secchi del rifornimento non mi aiutano per niente. Sono disidratato. Bevo, ma anche i liquidi fanno fatica a entrare.
Ho un magone alla gola. Temo di aver rovinato la mia gara, il mio primo trail , e la cosa mi avvilisce.
Poi faccio una cosa. Vado in un angolo nascosto, e mi tolgo e mutande che si erano infradiciate dall’acqua uscita dallo zaino. Per fortuna il calzoncino ha le sue interne, in tessuto sintetico, e mi sento un po’meglio.
Chiedo a un ragazzo dell’organizzazione come poter fare se mi dovessi sentir male e lui mi chiede se ho bisogno subito di soccorsi. Al che mi raddrizzo e mi limito a chiedergli se posso deviare per il corto - se ci arrivo - e che comunque ancora non sono in fin di vita. Allora mi da il suo numero in caso di necessità.
Mi sento una merda, ma riparto pianissimo seguendo il flusso dei trailer. Nel frattempo mastico e bevo per quello che posso. Riparto cercando di farmene una ragione e che comunque se ho gestito male qualcosa ormai è andata così. Fanculo al bastardo orgoglio!

Da qui in avanti vivo la mia seconda parte di gara.
Mi svuoto dalla paura e dalla delusione, vado avanti e basta.
Conosco William e il suo fido compagno che corre in canotta arancione con un gel nelle mani.
Conosco il pugile che corre a petto nudo e si tuffa nei fiumi e nelle vasche di pietra delle fontane.
Conosco un toscano che è preoccupato per la moglie che lo aspetta al traguardo.
Conosco un ex triathleta col quale scambio due chiacchere su allenamento, varie ed eventuali.
Mi scoppia una vescica, bevo litri d’acqua ad ogni fontana.
Magicamente dal 15° km in avanti succedono tutte queste cose.
Ritrovo il piacere di correre e il sorriso sulla faccia, mentre senza pensarci imbocco per il percorso lungo.
E in progressione supero diversi corridori, fino a riprendere Stefano che si era fermato al 35° con qualche problema di stomaco. In vista del 40° km corro anche in salita, non mi risparmio più e comincio a pregustare l’arrivo. All’ingresso di Corniglio vedo Ale che mi urla, ed è la festa più bella!!!
Entro sotto l’arco e gli ultimi metri di salita li volo.
Un signore pronuncia il mio nome al microfono e mi mette la medaglia al collo.
E’ fatta!
22° assoluto e 4° di categoria.
Danilo è arrivato 14° assoluto. Stefano invece un po’dopo di me. Alessandro si è dovuto ritirare per un’infiammazione al ginocchio.
Tutti hanno dato il massimo.

Un’avventura indimenticabile, dall’inferno di fatica e paure ataviche, ad una serena consapevolezza fatta di corsa e niente altro.
Un’esperienza unica. Trovare pace e serenità nella fatica della corsa.
E adesso non vedo l’ora di andare a Cortina!